We Are Social esplora lo scenario dei podcast, in grande ascesa ma ancora terra (quasi) vergine per i brand

We Are Social insieme a The Vision nel nuovo appuntamento WTFuture: il lockdown ha fatto crescere l’ascolto e attualmente l’affollamento dei brand è ancora molto basso. 

La crescita dei podcast non è una bolla e il lockdown ha fatto accelerare anche in Italia, con crescite a tre cifre, il fenomeno che nei paesi anglosassoni è già mainstream e per i brand un mezzo di comunicazione più che rodato. Dopo IAB qualche settimana fa, ad affrontare l’argomento è We Are Social con un nuovo appuntamento della serie WTFuture, all’interno del palinsesto della Milano Digital Week, con ospiti Andrea Rasoli e Giuseppe Francaviglia di The Vision e il content creator Alessio Giannone, aka Pinuccio.

Da sinistra dall’alto Luca Della Dora di WAS, Giuseppe Francaviglia e Andrea Rasoli di The Vision

«I branded podcast sono pubblicità che le persone hanno voglia di ascoltare – introduce Luca Della Dora, marketing e innovation director di We Are Social -. Sono interessanti a livello creativo per la liberà che concedono ai creator mentre dal lato di chi ascolta sono uno strumento immersivo, una forma di intrattenimento che può essere goduta in completa mobilità. Siamo convinti che abbiano un enorme potenziale per i brand. Possono aiutare le aziende ad amplificare il racconto della marca e creare vicinanza con l’audience, grazie a un meccanismo seriale che permette un’esposizione ripetuta del brand senza farlo risultare invadente».

I numeri ci sono: secondo i dati dello scorso novembre di Nielsen gli ascoltatori italiani di podcast erano oltre 12 milioni e si tratta in buona parte di persone difficili da raggiungere con gli spot tv perché utenti di piattaforme ad free come Netflix o Amazon Prime Video. La maggior parte di essi fruisce podcast per più di sei ore alla settimana, l’85% ascolta il contenuto scelto fino alla fine.

Tutto molto bello, però i brand almeno in Italia latitano. Andrea Rasoli, fondatore della testata online The Vision, un anno e mezzo fa ha iniziato a produrre anche podcast, sia pillole giornaliere come le news di ‘In 4 minuti’ che long form di approfondimento e opinione come ‘Anticorpi’ sul femminismo. «Credo ci sia uno spazio importante di sviluppo ma manca una filiera commerciale vera e propria anche se negli ultimi mesi, con il lockdown, l’attenzione delle aziende si è fatta un po’ più viva. Certo i numeri sono molto più piccoli di quelli dell’adv di massa –  ‘In 4 minuti’ ad esempio fa 150-200mila ascolti mensili ed è tra i più gettonati – ma parliamo di prodotti completamente diversi. Con i podcast c’è spazio per creare con costi relativamente contenuti e in termini editoriali c’è tanto potenziale per collaborare con le aziende, entrando nel campo del branded content».

La capacità di rivolgersi a nicchie di pubblico ben precise è uno dei punto di forza, accentuato anche dalla notorietà dei personaggi e degli host che innesca un engagement maggiore. «Si sposa un concetto di community a un modello di ascolto seriale che negli ultimi anni è tornato alla grande» aggiunge Rasoli.

Sponsorizzare un podcast già esistente oppure creare un format ex novo sono le due strade possibili: «Certamente è più facile fare un endorsement a un prodotto esistente, che ha già una sua audience, che non partire con un prodotto originale. Creare ex novo comporta l’impegno di posizionarlo nel mercato dei podcast con un percorso di fruizione, riconoscibilità e reperimento diverso e più complesso».

Regole fisse per la produzione non ce ne sono, non esiste una vera e propria grammatica del podcast quanto a tematiche e minutaggio. «E’ una cosa positiva perché c’è varietà e spero rimanga. E’ la storia che detta il tempo, ogni racconto ha l’esigenza personale di chi la fa e di chi l’ascolta. Non bisogna perdere il filo» spiega Alessio Giannone.

La produzione dei podcast è certamente più accessibile, ma deve comunque rispettare certi standard di qualità come aggiunge Giuseppe Francaviglia «In questo momento c’è una specie di innamoramento verso i podcast simile a quello che c’è stato una decina di anni fa con i video, se ne giravano tanti autoprodotti con gli smartphone di qualità scarsissima. Oggi è lo stesso con i podcast: se è prodotto male dà fastidio. Anche l’orecchio vuole la sua parte».

We Are Social esplora lo scenario dei podcast, in grande ascesa ma ancora terra (quasi) vergine per i brand ultima modifica: 2020-05-29T11:37:29+02:00 da Redazione

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