L’innovazione che paga, Groupm ne individua i segni

Presentata la ricerca StepFWD che analizza brand e concetti alla luce di un modello consumer generated. Al centro l’innovazione trasversale ai settori merceologici tra aspettative e modelli di consumo

Immaginata, percepita, desiderata. E tuttavia tangibile e efficace in termini di business. Questa l’innovazione ai tempi della crisi, al centro della nuova ricerca StepFWD messa a punto da Groupm al fine di offrire una piattaforma al servizio delle agenzie del gruppo, che aiuti a comprendere attraverso il percepito dei consumatori quanto e come un brand sia innovativo e quali siano i segnali di innovazione nel prodotto, nelle abitudini di consumo, nel comportamenti. E quindi, alla luce di dati e schemi misurabili, operare scelte di comunicazione e media.

Norina Buscone
Federica Setti

«La discontinuità è il tratto guida della ricerca – spiega Norina Buscone, vice president research Groupm – non ci sono ricette, ma una piattaforma consumer generated di trend e aspettative sull’innovazione riguardanti non solo i marchi ma anche i concetti. Perchè l’innovazione è tale quando risponde a un bisogno e lo soddisfa. Deve essere rilevante, affinchè il pubblico la possa adottare. E deve essere chiaro che l‘innovazione costa, ma paga».

Lo dimostrano i dati di uno studio Bocconi-Cermes su quanto incide l’innovazione sul business nelle aziende del largo consumo: se è vero che la quota in portfolio di innovazioni di prodotto è calata negli anni dal 2007 al 2010 dal 20,7% al 15,9%, con la diminuzione dei prodotti completamente nuovi a vantaggio di extension line, prodotti più semplici o promozioni sul prezzo, le aziende il cui portfolio comprendeva oltre il 4% di prodotti nuovi hanno aumentato le vendite della marca leader del 9% e quelle nella categoria del 6,4%.

«Questo mentre le aziende che non hanno investito e che non hanno introdotto novità non hanno registrato nessuna crescita, rispondendo alla domanda se la mancanza di innovazione sia causa o effetto della crisi» ha spiegato Federica Setti, chief research officer di Groupm.

Crisi, sostenibilità e digitale le parole chiave per capire l’innovazione

Antonello D’Elia

La ricerca si è basata su 5.627 interviste cawi su 2.800 casi, su 344 brand di 13 categorie merceologiche, analizzando 28 concetti di consumo e territori di comunicazione, da cui sono risultati tre cluster che definiscono la popolazione: gli innovatori sono il 23%, i mainstreamer il 50% e i follower il 27%.

A questa si è aggiunta una fase qualitativa con focus e trandwatching in 11 città ‘hub di innovazione’ a livello mondiale, più un field etnografico su Pinterest e colloqui con opinion leader sui temi di imprenditoria digitale (Massimiliano Ventimiglia), estetica dei consumi (Fulvio Carmagnola), editoria e content (Daniele Brolli), etnografia digitale (Alex Giordano).

«Le parole chiave per parlare di innovazione oggi sono Crisi, vista come momento per far ripartire il sistema, Sostenibilità che non è solo ambientale ma rispecchia la necessità di tornare a bisogni più autentici, e Digital a rappresentare la disintermediazione, nuovo standard del rapporto tra reti fisiche e network digitali» ha spiegato Antonello D’Elia, consulting manager di Groupm.

Una delle evidenze più forti è che oggi le aspettative dei consumatori riguardano non sempre la novità tout court, ma il miglioramento dell’offerta esistente come sostiene con convinzione il 17% del campione. Come ad esempio per i media, che hanno abbracciato la digitalizzazione, ma ora viene loro richiesto di renderla fruibile a tutti.

Certo, ci sono settori più futuribili come il tech e l’abbigliamento, ma i grande laboratorio di innovazione oggi sono i settori food e retail. Tutti i brand e tutti i settori sono a confronto sulla mappa dell’innovazione, che misura dei 344 brand la loro capacità di innovazione (interpretazione dei bisogni del consumatore) e la rilevanza (la capacità di entrare a far parte della vita del pubblico): dall’area Commodity in cui le marche fanno leva esclusivamente sul prezzo e sono intercambiabili l’una con l’altra, a quella dei Pionieri, ovvero quei prodotti che cambiano la vita delle persone e creano nuovi mercati.

Billa, Eataly e Ikea, dal basico al retail innovativo

Pochi i nomi pubblicabili, essendo la ricerca riservata ai clienti di Groupm e a quelle aziende che volessero fare uso degli insight e dell’analisi. Tuttavia, per comprendere come funziona, Billa è un esempio di retail basico che fa leva su prossimità e cost saving; Eataly ha saputo innovare nell’ambito del lusso accessibile presidiando la richiesta di produzione artigianale. Ikea invece è la vetta dell’area del retail innovativo: brand che si reinventa ogni giorno on e offline, tanto che dall’arredamento si sta allargando alla progettazione urbanistica di un’area di East London e reinventa l’azione di placement con reality e storytelling allestendo miniappartamenti abitati nella metrò di Parigi.

Make.Place.Interact dicono i trend emergenti

Dalla ricerca sono state estratte 9 tendenze emergenti, raccolte in tre famiglie che esprimono un valore.

Make: i consumatori si trasformano in produttori mentre si diffondono nuovi modelli di consumo all’insegna del ‘buono quanto basta’. La comunicazione diventa storytelling, educational e problem-solver.

Place: riscoperta del valore dei luoghi. La comunicazione valorizza il territorio attraverso il geo marketing, l’interactive out of home e il below the web.

Interact: cittadini, consumatori e aziende alimentano la co-creazione. La comunicazione valorizza le relazioni e accredita il marketing partecipativo.

L’innovazione che paga, Groupm ne individua i segni ultima modifica: 2012-11-07T15:01:37+01:00 da Redazione

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