Branding e-volution. Ibridare tecnologia e business per ricavare sempre più valore da dati e misurazioni

La seconda parte del convegno ‘Branding e-volution’ di Upa e Politecnico di Milano è stata centrata su dati e strumenti di misurazione come asset per la marca

Indicatori, anche sofisticati, che lavorano in logica di canale sono un limite nel mondo sempre più omnicanale che necessita di un approccio sistemico capace di superare i silos dei singoli touch point.

Le sintesi, quella d’apertura di Giuliano Noci, Ordinario di Marketing del Politecnico di Milano, e quella di chiusura di Giorgio Licastro, Media Measurement Lead GfK, hanno fatto da cornice alla presentazione della seconda parte della ricerca ‘Branding e-volution’ che ha indagato dati e strumenti di misurazione del valore del brand.

I risultati, illustrati da Nicola Spiller (Politecnico) e Alberto Vivaldelli (Responsabile Digital Upa), dicono che le aziende hanno aumentato negli ultimi 3 anni l’attenzione al tema del branding: il 32% dichiara di aver aumentato, infatti, gli investimenti in attività di ricerca per misurare il valore della marca (per il 50% sono rimasti invariati e l’11% li ha diminuiti), il 68% lo fa almeno 1 volta l’anno e il 30% in modo continuativo, servizi (88%) e largo consumo (72%) i settori che più di tutti fanno ricerca per misurare il valore del brand, mentre il retail è indietro e si attiva solo in funzione della necessità.

La percezione degli operatori della comunicazione, intervistati in parallelo agli advertiser, non è però altrettanto esaltante: solo il 20% dice che negli ultimi 3 anni le aziende hanno investito di più per misurare il valore della marca.

Gli strumenti più utilizzati sono brand tracking (75%), analytics digitali (67%) e pre/post test (58%), mentre la brand safety si conferma come il tema più rilevante per il 68% delle aziende intervistate, seguita da viewability (56%) e trasparenza del costo degli spazi (50%). Un tema, quello della trasparenza, che sta molto a cuore a Upa, come ha ricordato il DG Vittorio Meloni, rimarcando la necessità per il mercato di “avere una visione completa delle filiere che sono ancora opache” e il tasso di dispersione del 15% – “ancora notevole” – di ciò che finisce nella catena del programmatic.

Il precision marketing è un altra tendenza in forte crescita: l’80% degli investitori (e l’85% dei player della comunicazione) si aspetta un aumento significativo della quota di investimenti sui mezzi digitali dedicati a queste attività; in generale, il 71% degli utenti pubblicitari investe già in precision marketing digitale cui dedica il 58% degli investimenti in adv online. La maggior parte (58%) lo fa con obiettivi di sales activaction, ma ci sono anche aziende del largo consumo che dicono di farlo anche con obiettivi di branding.

Data scientist cercansi. Raccolta, analisi e gestione dei dati sembrano essere attività ormai acquisite dalle aziende tanto che il 77% dice di far ricorso a dati di prima parte per le proprie iniziative adv, la maggior parte utilizza una DMP interna (31%) o esterna (32%), il 16% valuta di farlo e solo il 21% non prevede di farlo. Secondo Vivaldelli si tratta di un “tasso di adozione interessante”, ma manca ancora di sofisticazione nell’analisi di tutto il valore che si può estrarre da questa adozione. Così come è riconosciuta l’importanza di poter contare su figure professionali competenti nell’analisi dei dati, ma il 40% lo fa per lo più a livello operativo e solo il 21% a livello strategico. Infine, solo pochi intervistati ritengono che i dati di seconda e terza parte siano poco affidabili, ma questo perché fanno riferimento a quelli provenienti dagli istituti di ricerca e dalle proprie agenzie media.

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Branding e-volution. Ibridare tecnologia e business per ricavare sempre più valore da dati e misurazioni ultima modifica: 2020-10-02T11:12:21+02:00 da Redazione

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