Il brutto vende sempre. Sul palco dei Cannes Lions la nuova estetica del brutto in comunicazione

Più veloce, più facile, più economico. Tim Leaks di RPA Los Angeles spiega perché ciò che è brutto si conferma praticamente il massimo per le agenzie e i brand

Lunedì da brividi al Palais. Dopo aver vinto saltuariamente folkloristici premi concessi al merito della provocazione, i cattivi ragazzi dell’advertising alzano la testa e rivendicano per il futuro una dignità addirittura maggioritaria.

La qualità produttiva sarebbe dunque l’ultimo scalpo appeso alla cintura del web? ‘Brutto è bello’ sembra suggerire nel suo speech ‘Ugly sells’ Tim Leaks, Chief Marketing e Innovation Officer dell’agenzia indipendente RPA di Los Angeles, oltre che speaker estremamente convincente e fondatore della religione del ‘People first’, secondo cui la dilagante generazione internet non ama le “cose carine” e va delineando addirittura una vera e propria “estetica del brutto”.

Tim Leaks, Chief Marketing e Innovation Officer RPA

Si tratta di una rivoluzione e, se si trascura una perentorietà dell’assunto probabilmente eccessiva, non si può non riconoscere che molte delle affermazioni di Leaks abbiano basi solide e dimostrate. La teoria è che internet stia plasmando letteralmente un nuovo gusto: la gente si è stancata della super-perfezione; inoltre, la pubblicità ‘brutta’ funziona e, infine, ci stiamo abituando ai suoi parametri. Insomma, siamo al trionfo dello ‘Skip Ad’: la pubblicità che ‘sembra’ pubblicità viene evitata con intransigenza sempre più spietata mentre, e qui Leaks è stato fulminante, “la bruttezza odora di verità”.

Ora, è tutto verosimile, ma non dovrebbe sfuggire che questa religione, se applicata integralmente, terremota irrimediabilmente uno dei ‘9 Tracks’ su cui è stato impostato Cannes Lions 2018: che senso avrebbe più parlare di Craft? Leaks cita Matt Levin, fondatore di Donut Media, e lo dice chiaramente: occorre ridefinire il concetto di ‘craftmanship’, i capisaldi da curare meticolosamente sono adesso la storia, la performance, i personaggi e il casting. Insomma, le agenzie (e i loro clienti) non hanno bisogno di art director ma di ‘art creator’. E messa così, come dargli torto? Chi in passato non ha ritenuto che certe pubblicità indulgessero in ridondante perfezionismo autoreferenziale, quando la vera mission di un brand dovrebbe essere semplicemente connettersi al proprio pubblico? Come si diceva, ‘people first’. E punto e a capo.

Il brutto vende sempre. Sul palco dei Cannes Lions la nuova estetica del brutto in comunicazione ultima modifica: 2019-06-18T09:59:11+02:00 da Redazione

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