I tipi di branded content sono tanti, ma la regola base è sempre una: audience first

Nel nuovo appuntamento WTFuture Branded Content Edition We Are Social ha analizzato i fondamentali del branded content e coinvolto clienti come Samsung, Lavazza e Barilla che hanno realizzato podcast, documentari e autentici fenomeni pop

Il branded content non è cosa nuova, ma man mano che passa il tempo, spuntano nuove tecnologie e le abitudini delle persone evolvono, pare sempre più difficile definirlo. Eppure nella sua estrema varietà alla base ci sono delle regole fisse, che We Are Social ha analizzato nel corso dell’incontro WTFuture Branded Content Edition portando gli esempi di recenti operazioni lanciate insieme a tre clienti.

Da sx in senso orario Alessandro Sciarpelletti (We Are Social), Francesco Cordani (Samsung), Alessio Gianni (Barilla), Lorenzo Giorda (Lavazza)

Accanto all’Innovation Director Luca Della Dora e al Direttore Creativo Alessandro Sciarpelletti sono intervenuti Lorenzo Giorda, Global Head of Digital Marketing di Lavazza, Francesco Cordani, Head of Marcom di Samsung Electronics Italia, e Alessio Gianni Digital & Content Marketing Global Director di Barilla.

«Durante il lockdown sono cambiati molti comportamenti, a livello domestico, nei rapporti con altre persone e nel modo in cui le persone entrano in contatto con i brand – introduce Della Dora -. Consumiamo molti più contenuti digitali ed è incrementato moltissimo quello sulle piattaforme di streaming, video e musicali, e ciò ha portato i brand a spostare alcuni investimenti pubblicitari». 

Luca Della Dora

Se la definizione di branded content o branded entertainment fa ancora dibattere la industry e assume diverse accezioni a seconda dei paesi, in ogni caso quando lo si affronta bisogna avere ben chiari un paio di concetti. «Il branded content nasce per interessare le persone a un messaggio di brand – commenta Sciarpelletti -. Primo, dunque, bisogna mutuare le regole base dal tipo di intrattenimento che si sceglie di seguire. Il branded content non è un commercial allungato ma qualcosa che intercetta veramente l’interesse di una persona. Second, audience first: dobbiamo parlare di platea da intrattenere, non di un target da colpire».

Posto questo, anche se gli investimenti sono centralizzati per il 60% sul video, i mezzi, i format e le piattaforme possono essere i più diversi: dipende sempre da chi si vuole raggiungere, e nel caso di audience giovani è opportuno valutare games, podcast e piattaforme svod.

Samsung ha lanciato i podcast ‘Elio e Le Storie Tech’, una serie originale che aveva l’obiettivo di semplificare il modo con cui si parla di tecnologia.

«Abbiamo voluto ingaggiare e intrattenere, senza mai scadere nella promozione, e in questo il grande Elio ci ha aiutato – spiega Francesco Cordani -. Il branded content deve raccontare la marca in modo totalmente naturale. Se non ci si riesce, meglio lasciar perdere perché sarebbe un flop. Meglio investire altrove».

La preparazione della serie di podcast è stata molto accurata: il team è partito dai dati di mercato, dai consumer insight e ha identificato un target di riferimento per definire il messaggio. Il contenuto non parlava di feature specifiche di ma concetti ampi, come connected video o interazione seamless, un po’ perché avrebbe perso in intratteinmento e un po’ per non dare una data di scadenza. Il contenuto brandizzato, a differenza degli spot in tv, non lavora sul grp ma sulla sedimentazione e per sedimentare ci vuole tempo. Così la marca entra nella quotidianità di una persona, nelle sue corde, e rimane top of mind.

Quanto alla misurazione, Samsung non aveva benchmark né interni né esterni, essendo uno dei primi branded podcast e per giunta un format originale. «Abbiamo dunque stabilito KPI principalmente di brand e faremo una valutazione a metà e una alla fine dell’iniziativa. Se i risultati ci daranno ragione faremo una ‘season 2’» conclude Cordani.

L’idea del documentario ‘Coffee Defenders: a Path from Coca to Coffee’ di Lavazza nasce un paio di anni fa con l’obiettivo di condividere quel che fanno l’azienda e la sua Fondazione in ambito sostenibilità e l’impatto dei loro progetti nei paesi produttori di caffè. La storia è quella di una contadina che, in una regione devastata dalla guerra civile, decide di rimanere e convertire la sua coltivazione dalla coca al caffè, anche grazie all’aiuto di Fondazione Lavazza. Un argomento interessante per un’audience globale ha seguito serie tv come Narcos e così può approfondire un aspetto del fenomeno.

«E’ una storia vera, a tratti con scene molto forti. Poteva essere un rischio, ma il linguaggio è quello che il pubblico giovane si aspetta da un contenuto di qualità – commenta Lorenzo Giorda – . Volevamo andare a comunicare con un pubblico distante da quello core del nostro brand, su un canale non usuale come Amazon Prime Video. Non siamo i primi a produrre un contesto originale per una piattaforma streaming, ma in Italia è un terreno quasi inesplorato. Abbiamo definito tutti gli aspetti di questa storia, la visione del brand e il messaggio da trasmettere, scelto il regista colombiano Oscar Ruiz Navia e gestito la produzione nella regione della Meta. Amazon, che è anche nostro partner commerciale, è stata piattaforma ideale per la reach su scala globale: il contenuto ha rafforzato il nostro posizionamento e abbiamo anche venduto tanto caffè. Posso anticipare che l’anno prossimo avremo altre novità, sempre con Amazon».

Il caso di Lavazza sfata un po’ la consuetudine che il branded content abbia solo obiettivi di brand e non porti a delle vendite. «Si parte dal documentario, ma poi avevamo anche una serie di contenuti ottimizzati per i social e per la piattaforma Amazon diretti alla pagina di prodotto. Avere una gamma di caffè come Tierra, che ha la Fondazione alla spalle, ha reso il consumer journey più lineare”.

Barilla invece ha sorpreso e commosso l’Italia a fine luglio con ‘The Rooftop Match with Roger Federer’ creato sulla base del successo virale del video delle due giovani tenniste di Finale Ligure, che hanno potuto incontrare il loro idolo Federer, guarda caso da tempo testimonial di Barilla. Un video che, come ha detto anche Aldo Grasso, rappresentava benissimo la speranza e la voglia di vivere dopo un periodo nero.

«E’ un branded content sui generis, non è facile categorizzarlo, una positiva tempesta perfetta, un fenomeno pop – spiega Alessio Gianni -. Siamo stati bravi a ‘cogliere l’attimo’, ascoltando quel che accade nel mondo, intercettando l’opportunità e creando una notizia. Tra idea ed esecuzione è trascorso un tempo molto breve, tra imprevisti dovuti al covid, la convocazione di un testimonial così importante, cambi di location e leak non pilotati tanto da aver dovuto anticipare l’on-air. I risultati sono stati fuori scala: misuriamo KPI come views, completed views, reach, le mention sui social e sui media e sui top media. Importantissimo il sentiment, che è stato per l’87% positivo, eccezionale soprattutto in ambito food, come anche il watch time, pari a 1 milione di minuti e che nel branded content diventa ancora più rilevante, e per quanto tempo le persone continuano a parlarne a distanza dal lancio. Se fosse poi possibile misurare la commozione e le lacrime…».

La fortuna di incappare in una serie di coincidenze favorevoli però non basta. «Il branded content non si fa se nn ci sono mindset e organizzazione, e noi stiamo lavorando su entrambi. Il mindset in particolare richiede una trasformazione di lungo periodo: abbiamo ancora poche persone in grado di costruire una news, di cogliere insight, e speriamo che diventi un’organizzazione più strutturata per cogliere più opportunità».

I tipi di branded content sono tanti, ma la regola base è sempre una: audience first ultima modifica: 2020-09-25T10:52:33+02:00 da Redazione

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