Caroline Hugonenc, Teads. Il targeting contestuale non è un piano B

Caroline Hugonenc, Global VP Insights and Research di Teads, spiega perché il targeting contestuale non è un ripiego ma una soluzione efficace per l’ecosistema cookieless e lo dimostra con un test e un case study con Nestlé

Caroline Hugonenc, Global VP Insights and Research di Teads

I cookie sono stati per molto tempo una parte consistente della pubblicità online, l’ecosistema non dipende da essi. La loro scomparsa non determina la fine della pubblicità personalizzata e pertinente ma identifica la transizione in corso verso modelli pubblicitari responsabili e sostenibili per il nostro settore.

Una delle soluzioni disponibili è il contexual targeting che permette di posizionare i contenuti pubblicitari all’interno di articoli che ne esaltino il messaggio pubblicitario e amplifichino l’esperienza dell’utente, contando su alti livelli di attenzione e intenzionalità. Si costruisce dunque una narrazione unica tra contesto e contenuto pubblicitario che non interrompe la fruizione ma la potenzia, generando ottimi risultati per i brand.

Non tutte le piattaforme saranno in grado di andare oltre la pianificazione intuitiva e passare a insight concreti e azionabili. Molti player offrono ancora soluzioni che si basano su parole chiave, che può portare a falsi positivi. Un’altra sfida è legata alla granularità e alla capacità di raggiungere effettivamente il coinvolgimento adeguato con il pubblico giusto nel contesto giusto. Testare dunque i media partner sui livelli di accuratezza contestuale, granularità, il posizionamento e l’azionabilità delle loro soluzioni di targeting contestuale è essenziale per qualsiasi brand o advertiser.

Il targeting contestuale non dovrebbe più essere considerato come un piano B, ma come una vera soluzione per fornire efficacia media di qualità.

In Teads abbiamo condotto un A/B test utilizzando la nostra soluzione Brand Pulse per valutare le potenzialità del targeting contestuale sui KPI dell’inserzionista: abbiamo eseguito due test Brand Pulse, uno con targeting contestuale e uno senza, quindi abbiamo confrontato la differenze nella brand uplift. Ad esempio, se il brand uplift per l’awareness nello studio non contestuale fosse del 7% e l’awareness uplift dell’annuncio erogato con targeting contestuale fosse del 13%, il brand uplift del targeting contestuale sarebbe calcolato come 86%. Sebbene i nostri test siano nelle prime fasi, i risultati si dimostrano davvero interessanti:

I risultati di cui sopra si basano sui dati di 8 diverse campagne su verticali e aree geografiche, di cui è stata considerata una media.

Risultati incoraggianti arrivano anche da diversi case study, come nel caso della campagna con Nestlé e UM erogata a novembre e dicembre 2020 in Spagna per il lancio della sua nuova gamma Nesquik Intenso per giovani adulti.

La strategia di targeting era composta da dati socio-demografici, dati sugli interessi e targeting contestuale che sono stati utilizzati per identificare i migliori ambienti e contenuti per l’erogazione dell’annuncio.

Durante la campagna è stato lanciato uno studio Brand Pulse, che mirava a misurare l’efficacia del branding dei diversi segmenti di targeting utilizzati.

Lo studio ha coinvolto più di 250 intervistati esposti alla campagna, in ciascuno dei diversi segmenti di targeting: dati socio-demografici, targeting contestuale e dati sugli interessi. L’advertising recall dopo l’esposizione alla campagna, è aumentato dell’86% nel gruppo oggetto della segmentazione dei dati socio-demografici e dell’87% nel segmento del targeting contestuale.

I dati dimostrano quindi che sfruttando l’allineamento contestuale con un partner che ha la giusta precisione e scalabilità tecnologica si può raggiungere la stessa efficacia di un targeting socio-demografico cookie based.

Caroline Hugonenc, Teads. Il targeting contestuale non è un piano B ultima modifica: 2021-04-28T16:05:48+02:00 da Redazione

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