Gilberto Cavagna. Influencer marketing: post poco influenti (e molto controproducenti)

Il punto di vista dell’avvocato Gilberto Cavagna di Gualdana, Partner di Andersen, sul caso Ferrari vs Philipp Plein, interessante per la normativa che regola l’influencer marketing. La condanna del Tribunale di Genova ha chiarito le situazioni in cui è o non è lecito per un influencer includere prodotti e brand terzi nel contesto dei propri contenuti

Gilberto Cavagna

Qualche tempo fa il Tribunale di Genova ha condannato Philipp Plein, all’esito di un giudizio cautelare, per l’uso dei marchi Ferrari e dei suoi modelli di autovetture in alcuni post pubblicati su Instagram e ne ha ordinato la rimozione (Ordinanza del 4 febbraio 2020).

Lo stilista e imprenditore tedesco, fondatore dell’omonimo brand e “influencer” di moda, aveva pubblicato alcuni post in cui condivideva alcuni dei propri capi di abbigliamento accostandoli al marchio e alle auto Ferrari e, nonostante fosse stato invitato più volte dalla Casa di Maranello a rimuovere le immagini, se ne era altamente infischiato (peraltro arrivando a deridere le diffide ricevute da Ferrari sugli stessi social) sostenendo che le immagini pubblicate sul proprio profilo Instagram avessero una mera finalità descrittiva delle sue personali abitudini di vita, e non già uno scopo commerciale.

La pronuncia è ancora di interesse, perché ha evidenziato alcuni aspetti legati all’influencer marketing sempre molto attuali. Nel provvedimento infatti il Tribunale, pur riconoscendo che per gli influencer è elemento essenziale la rappresentazione della propria vita, al pari dell’ostentazione dei beni di consumo dei quali si circondano, ha evidenziato come l’eventuale uso di marchi di terzi si può ritenere lecito, tuttavia, solo se autorizzato dal titolare o sia sostanzialmente inevitabile, perché visibile sui “prodotti normalmente usati dal soggetto rappresentato per compiere l’azione pubblicata” (così l’ordinanza in commento).

Diversamente, l’uso di un marchio di terzi deve considerarsi abusivo quando “le immagini riprodotte dall’influencer non possano trovare altro significato – in capo ai fruitori dei social media – che quello commerciale e pubblicitario” (ancora l’ordinanza), cosa che normalmente accade quando l’esposizione del marchio è accompagnata da inserzioni o didascalie espressamente pubblicitarie, il marchio è pubblicato in un contesto (anche sui social media) che risulti prevalentemente indirizzato alla comunicazione pubblicitaria, e/o compaia in immagini che di per sé non possano avere altro significato che l’esposizione di un prodotto a scopi commerciali, e non già scene di vita (dell’influencer o di terzi).

Nel caso in esame le immagini pubblicate da Philipp Plein riproducevano alcune calzature esposte sul cofano di un’autovettura, circostanza che per il Tribunale “non descrive il momento di vita di alcuno (momento che può essere l’atto di mangiare, riposarsi, camminare, festeggiare, conversare etc.), anche in considerazione del fatto che appoggiare delle scarpe sul cofano di un auto costituisce condotta del tutto priva di giustificazione pratica” ma che risulta evidentemente (e solamente) giustificata dalla finalità di promuovere la vendita delle calzature create dallo stilista, titolare del profilo social, mediante l’associazione con l’autovettura di lusso ivi riprodotta .

I giudici genovesi hanno pertanto ritenuto che la pubblicazione di tali post costituisse un uso commerciale illecito del marchio Ferrari e comportasse un’associazione tra i due marchi illegittima ai sensi dell’art. 9, par. 2 lett. c) e par. 3 lett. e) del Regolamento 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea, nonché ai sensi dell’art. 20, c. 1 del Codice della Proprietà Industriale, oltre che un danno di immagine, anche sotto il profilo dell’offuscamento, danno “configurabile nei “casi in cui l’uso del segno possa svalutare l’immagine o il prestigio acquisito presso il pubblico del marchio notorio” quando “il contesto nel quale viene inserito sia semplicemente incompatibile con una particolare immagine che il marchio anteriore ha acquistato agli occhi del pubblico in conseguenza degli sforzi impiegati dal suo titolare per promuoverla” (Tribunale Bologna, 06/02/2009)” (come riportato nell’ordinanza).

Nessuna censura può essere invece avanzata nei confronti di Ferrari per non aver fatto ricorso, prima di procedere giudizialmente, alle apposite procedure previste su Instagram per la segnalazione e la rimozione dei contenuti illeciti, poiché, “il ricorso a detta procedura non garantirebbe una tutela effettiva delle ragioni del reclamante, in considerazione del fatto che essa non presenta alcuna efficacia preventiva, potendo essere richiesta la cancellazione soltanto successivamente alla pubblicazione di contenuti abusivi” mentre, sempre per il Tribunale, “diversamente opinando si introdurrebbe una condizione di procedibilità non prevista dalla legge, in aperto conflitto con principio della piena e libera giustiziabilità dei diritti soggettivi di cui all’art. 24 Cost.”.

L’ordinanza costituisce un primo caposaldo della disciplina sull’influencer marketing e uno spunto, in primis per gli influencer, di riflessione e confronto.

Sul punto ci confronteremo anche il prossimo 5 luglio 2021 in un convegno dedicato proprio all’“Influencer Marketing”, organizzato in occasione della Legalcommunity Week presso il Palazzo delle Stelline (Corso Magenta 61, Milano), al quale parteciperanno i professionisti di Andersen, Nicola Lopez, General Counsel di Procter & Gamble Italia, e la influencer Denise Giselle Roman.

Avv. Gilberto Cavagna di Gualdana

Partner – Andersen

Gilberto Cavagna. Influencer marketing: post poco influenti (e molto controproducenti) ultima modifica: 2021-06-28T16:49:48+02:00 da Redazione

Related posts