Mizio Ratti. Una volta qui era tutto campagne

Di Mizio Ratti, founder e partner di Enfants Terribles e Hallelujah

Negli ultimi due anni ho tenuto un profilo social molto basso: ho interagito poco e ho scritto ancora di meno. Un paio di settimane fa, dopo molto tempo, ho condiviso un contenuto che ha scatenato reazioni e commenti, soprattutto di persone che non si trovavano d’accordo con me. Sono giunto a una conclusione: o vi manco davvero tanto, oppure il contenuto che ho condiviso è rilevante. Qualunque sia la verità, ho deciso di violentare la mia innata indolenza e scrivere questo post.

L’articolo dibattuto è della testata online key4biz e raccoglie un’intervista ad Alberto Contri dal titolo “Il perché del lento suicidio delle agenzie di pubblicità”. Alberto Contri non è una persona qualsiasi. Qui potete leggere la sua biografia, ma quello che ci interessa sapere di lui è che è entrato in pubblicità nel 1966 ed è stato presidente Assap (quella che oggi è diventata Assocom) dal 1993 al 1997. Insomma, è uno che ha vissuto tutte le evoluzioni del nostro mestiere, dalla golden age fino ai giorni nostri.

L’incipit è questo.
“Quando ho iniziato a lavorare in pubblicità a inizio anni Settanta,” dice Alberto Contri, “le agenzie venivano remunerate con il 15% sull’investimento media. Quando le campagne avevano successo e il budget cresceva, crescevano di conseguenza i profitti dell’agenzia, senza un corrispondente aumento dei costi, il che era semplicemente una manna. Così in quegli anni d’oro le agenzie fecero grandi affari, includendo la consulenza creativa e strategica nel fee complessivo per l’acquisto mezzi. Da un certo punto in poi i clienti hanno cominciato a voler ridurre quella percentuale, la concorrenza è aumentata, e sempre più spesso le agenzie hanno offerto la creatività nel fee dell’acquisto mezzi”.

Non c’è dubbio che quello è stato il breaking point della pubblicità italiana, quando cioè i manager, con poca lungimiranza e in nome del profitto immediato, hanno iniziato a regalare creatività e strategia. Risultato? Agli occhi dei clienti la consulenza delle agenzie di pubblicità ha perso di valore. Ma tanto c’erano ancora i soldi del media a reggere su le baracche delle agenzie a servizio completo.

Piccolo esempio.
Nel 1996, quando ho iniziato l’avventura Enfants Terribles, ogni volta che presentavo un preventivo i clienti mi dicevano: “Ma le altre agenzie la creatività me la regalano”.
E io rispondevo: “può darsi, ma noi facciamo solo quella, cosa volete pagarci sennò?”
È stato grazie al fatto di aver tenuto duro in quegli anni che abbiamo sviluppato un nostro modello imprenditoriale che ci ha permesso di sopravvivere durante questa lunga crisi e diventare una delle agenzie pubblicitarie indipendenti più longeve in Italia. E la stessa cosa hanno fatto altre agenzie indipendenti, tutte quelle che sono partite senza un reparto media, costruendo modelli basati esclusivamente sulla remunerazione del lavoro creativo.

Intorno agli anni duemila i network internazionali hanno fatto un secondo errore, a posteriori ancora più dannoso e demenziale del primo: hanno fatto uscire il reparto media dalle agenzie, scorporando quindi la cassaforte di famiglia e dando vita ai centri media.
Ignoro i motivi esatti di questa scelta, anche se presumo sia stata fatta ancora una volta in ottica di profitto. Purtroppo le grandi agenzie si sono ritrovate costrette a far pagare una cosa che fino a poco tempo prima regalavano, la consulenza creativa e strategica appunto.
E non è stato affatto facile.
Anche perché ogni tre mesi i manager italiani dovevano rispondere ai network dei risultati della country. E, beata lungimiranza, pur di dimostrare ai capi di Londra, Parigi o New York che erano macchine da new business, hanno iniziato a farsi una guerra senza quartiere sui prezzi, rassicurati dal fatto che tanto i loro costi fissi (o almeno una parte) erano coperti dai contratti internazionali.
Molti pensano che il dumping in Italia sia iniziato per colpa delle piccole agenzie, ma nulla di più sbagliato: sono state le filiali dei network.

In quel periodo la mia bussola era un listino prezzi pubblicato nel 1994 proprio dall’Assap di Alberto Contri. I clienti guardavano i preventivi che facevo seguendo quel listino di più di sei anni prima e mi facevano notare che ero caro.
Quasi vent’anni fa.
Il paradosso è che se provassi oggi ad applicare quelle tariffe mi scambierebbero per pazzo.
Quel listino era nato per supplire al fatto che la creatività non si era mai fatta pagare prima di allora. Servì a poco, e servirebbe ancora meno oggi.
Qui
 potete trovarne una piccola parte, pubblicata dal blog dell’ADCI.

I primi licenziamenti in agenzia sono arrivati subito dopo la crisi della prima Guerra del Golfo, intorno al 1991 (prima la pubblicità era un settore florido), ma quelli più sanguinosi sono partiti all’inizio di questo secolo.
D’altronde, dato lo scenario che vi ho descritto, cos’altro poteva succedere?
Se ti fai pagare poco per il lavoro, di conseguenza puoi pagare anche poco il lavoro.
Così, per continuare a generare profitti, i network hanno tagliato i costi del personale.
Vado a memoria, ma mi sembra che il defunto e discusso blog Bad Avenue pubblicò dei dati che hanno dimostrato come solo intorno alla prima decade degli anni duemila il settore della pubblicità abbia perso più del 30% della forza lavoro.

Chi era quel 30%?
Semplice: era la cosiddetta classe media della nostra professione.
Quella percentuale non era costituita dai vertici, e neppure dai giovani che costavano poco; quel 30% erano le persone che, data la loro esperienza, guadagnavano bene pur non ricoprendo ruoli manageriali. Purtroppo erano pure quelli che trasmettevano ai più giovani il difficile (sì, perché è difficile) mestiere della comunicazione.
Scomparsi loro, scomparve il prezioso know-how, almeno nelle grandi agenzie.
Quando un giornalista del settore come Andrea Crocioni parla di maestri, parla di loro. Non i Maestri con la “m” maiuscola, non i grandi Guru Creativi, ma i maestri semplici, come quelli delle scuole di paese, quelli che insegnavano ai più giovani il difficile linguaggio della comunicazione.
Da allora le grandi agenzie si sono organizzate con poche persone al vertice e un esercito di post-stagisti alla base. E attenzione: l’idea sarebbe stata encomiabile se avesse significato ricambio generazionale, ma quella schiera di giovani è stata messa lì perché da allora il sistema delle agenzie supporta solo una forza lavoro sottopagata.

Perché tanti ragazzi hanno accettato anni di stage, e poi contratti a progetto e poi ancora Partite IVA a ciclo continuo ricevendo in cambio solo prospettive professionali molto limitate? Perché hanno accettato remunerazioni da fame in cambio di notti e di fine settimana passati in agenzia?
La risposta è semplice: non hanno avuto scelta.
In più molte agenzie di grido hanno fatto leva sulla loro vanità: “vieni da noi, ti spacchi il culo, ma fai progetti belli e vinci premi. Poi quando non ce la fai più, sei esausto e ti rendi conto che non hai più una vita privata, cambi agenzia! Nel frattempo ti sei fatto un bel portfolio e un ottimo palmares di premi… troverai sicuramente un posto dove ti pagheranno bene…” 
Peccato che un posto dove ti pagano bene non esista più.
Come ho spiegato, il modello delle grandi agenzie oggi può reggersi in piedi solo grazie a una base di forza lavoro che viene pagata poco ma che fa in cambio tante ore al giorno.

Ho accennato ai premi, un argomento piuttosto controverso.

LEGGI QUI IL POST INTEGRALE 

Mizio Ratti. Una volta qui era tutto campagne ultima modifica: 2018-03-12T16:01:07+01:00 da Redazione

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